Senecio
     SENECIO

Fondatore
Emilio Piccolo

Direttore
Andrea Piccolo e Lorenzo Fort



Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze
Horkheimer-Adorno, Dialettica dell'illuminismo

Rivisitazioni, traduzioni, manipolazioni



Redazione
Sergio Audano, Gianni Caccia, Maria Grazia Caenaro
Claudio Cazzola, Lorenzo Fort, Letizia Lanza


Aldino Leoni
Scheda biobibliografica

 
Loutsa

Il tempio della sabbia, di Loutsa, il più celato.
Coperto dal vento, dai passi e dal mare. Scoperto da una donna.
Guardano nella stessa direzione le teste poste sulla duna, per la sera.
 

Braurona

Grande città, un tempo.
Il tempio, le canne, le anfore interrate,
le case, le parole scolpite,
le conchiglie di terraferma, bianche.
Accanto ai resti, una pieve.
Nell’interno annerito, una croce tracciata da una punta
(e attorno le fioriscono stelle bianche);
il pavimento di pietra è ondulato, un nido di rondini, immagini.
Il luogo è sacro per millenni.
Le candele (la cera per entrare), gli scranni su cui mi siedo.
Le pitture scrostate: bastoni abbandonati contro.
Un capitello raffinato, poco visibile.
Nel museo ricompaiono le teste, come quelle della spiaggia,
alcune proprio ridono: perché illuminate, dicono.
 

Ikaria

A Ikaria nella notte; dopo il vento di Mikonos.
Un tempio, di nuovo, alla foce di un fiume nel mare:
è l’essere – il fiume – o il divenire? E il mare?
C’è una baia piccola, dove l’acqua si rigira
(un cartello avverte dei risucchi).
Poi il caldo del pomeriggio e si deve riposare.
A sera si va alla taverna, dove la luce è poca
e la musica buona.
Gli Americani del gruppo sono intanto arrivati.
Si discute se passare a Patmos
(la tentazione è grande ma i tempi forse non sono questi).
Icaro pare che abbia scelto un suo cielo
piuttosto che questo mare profondo;
e sarebbe precipitato qui.

Il tempo e lo spazio si plasmano a vicenda, si dimensionano:
ci si è spostati in fretta in questi giorni, in ore dedicate solitamente
al riposo; e si è perso il tempo.
Risalita della valle, fino al lago di roccia.
Il tramonto, al tempio.
Ci sono frammenti di marmo bianco, dovunque.
Il tempio è disperso.
I macigni ancora al loro posto sono corrosi, lisciati dai venti.
Quando, qualche anno fa, il tempio venne scoperto, fu eretta una recinzione;
ora rugginosa e cadente.
Galatea, al tramonto, si mette a danzare,
senza musica, col mare, con gli automatismi fotografici, con le risate.
È una danza che assomma i secoli, è il passo sulla pietra calda del giorno.
Ha smesso. Sono rimasti l’inginocchiatoio di marmo e le canne della danza.
La sera, alla luce delle candele, il povero spettacolo di poesia.
(I gechi piccoli muovono le teste e suscitano simpatia: come cani e gatti,
per le carezze, ma talora scattano in avanti timorosi).
 

Likosoura

“È là” – dice nel vento di Likosoura chi ci guida a guardare dall’alto.
E parla di quando il tempio era vivo, di geometrie e di anime chiamate.
Questa cresta del Peloponneso, dove il vento ti stropiccia il foglio su
cui scrivi, conserva riposte imponenze di dee, i loro sguardi assorti e
distaccati, frammenti di simulacri e di decori.
La casa delle dee adesso è gialla, ha fiori colorati tutt’attorno.

La strada della montagna porta ai templi.
Quelli che sono saliti hanno sentito raccontare
e seguito con gli occhi le direzioni delle dita.
Hanno intravisto pastori e furiosi guerrieri.
La polvere dei sacrifici viene allontanata lentamente.

Il circo gotico, di fronte, preserva il tempio di Apollo.

Il Peloponneso stringe le sue braccia e le sue labbra
e lascia camminare.

Fra i rami

Andava, andava
da solo fra gocce
di luce, fra favi
di miele, fra frutti
Da solo correva
correva, cadeva
in un sonno divino
umano, divino

Toccato da mano
leggera, da dita
Scavato in profondo
stordito e perduto
Nasceva, nasceva
Correva di vita
il tempo dell’uomo
umano, divino

Sentiva fluire
di sangue le gocce
di vita, andare
a un corpo non suo
Vedeva aprirsi
da terra un sorriso
di bocca di donna
umana, divina

Nella pianta c’è aria
e nell’aria c’è foglia
quando lascia il suo ramo
per cercare la terra

Nella terra c’è vita
quando figlio di fiore
quando seme di frutto
quando acqua di goccia

Nella vita di donna
nella vita di uomo
nella foglia c’è ansia
di volare, di stare
  
 (2002) 
 

Canto della sera

Canto della sera, canto del riposo
Canto del ricordo, canto del passato

 Canto di una notte, notte ateniese
 Canto di un sorriso, canto di mistero

Canto della luna, danza sulla sabbia
Isole remote, intraviste appena

 Canto del mattino, canto della luce
 Canto del calore, canto con il sole

Leva occhi buoni, tieni il mio viso
Fra le mani calme, dea dell’amore

 Portami lontano, dove porta il tempo
 Dove porta il sogno, dove lascia un segno

Segno di futuro, segno silenzioso
Segno del tuo sogno

 (1996)

A mani ferme
(2008)
 
 
1)
 
Non s’avvertì
variazione cardiaca
di ritmo.
Ci fu tensione verso lo scopo,
velocizzazione della conclusione
della scelta.
Non s’avvertì particolare
battito nel sottoporsi,
spiacevole momento
che passi, domani e dopo
ancora futuro e dimenticanza.
Non s’avvertì,
il nulla: la sedazione psicologica.
La sedazione, il sonno
farmaceutico, la tranquillità,
parole per un sacrificio ad Asclepio,
reminiscenze scolastiche
lasciate scorrere per alleggerire
E irruppe ad aspirare tutto di lui, di lei.
 
Non fu cicuta
del campo, del pestello
per progressiva, indolore
rigidità.
Fu macchina di ingegneria
per inviare a condotti
invisibili.
La chirurgia non è
gentile quando
libera i corpi
E libera, sollevata,
lei si sentiva
al risveglio
 
 
2)
Nulla restava del grumo.
Silenziosamente aveva perso
forma. La materia dispersa
risultava introvabile
invisibile a tutti.
La dimenticanza avrebbe restituito
appieno il nulla, il prima
che accadesse
Di quelle stanze, le volte bianche
soffuse voci, occhi gentili
solo ricordi
da lasciar sfumare
nei giorni
 
Sarà il bosco dei giovani cedri
o l’impianto delle viti, dei meli
a divenir foresta o campo folto
e lasciar balenar domani
alla sua mente un corpo
il volto che sarebbe stato
 
Brillava un mare
di marzo quel giorno
e la decisione li aveva
spinti là, lontano
a sciogliere il nodo, il dubbio
Il mare riempiva
i loro occhi e io capivo
a mani ferme.
 
3)
Di vario aspetto
umanità interrotta
grumi diversi
di visi o mani
arrotondati tratti
come in virtuale
documentazione aliena
Ma non vi è rassegna di tali corpi
subito avviati all’invisibile.
 
“Come han potuto
segnar confine
per morte e vita
(andava un giorno
argomentando)
come potranno
con sicurezza
tracciare taglio
che netto dica:
tali persone,
tal’altri grumi?”
 
E non v’è terra
che accolga grumi
occhi velati, pelli sottili
Non campo santo
che accolga ossa
ancora molli
Da quando attacco
subisce inerme
agnello mite
vibrante vita
è destinato
al grande caldo:
che sia cenere,
ma senza l’urna.
 
4)
Nel campo
di recente
mani discrete
hanno posto
un monumento
con parole per i non-nati
all’incrocio dei sentieri
Non s’è levato clamore avverso
forse per la discreta dignità
ieratica della statua
forse per il loro non essersi accorti
 
Nel campo vengono riposti
i nati appena

 

Monte Graham*
 

Voglio invitare anche te, giovane principe
all’incontro col pettirosso non timoroso
fra le ortensie secche

Se ti parrà impossibile venire perché
non più vivente, penseremo che basti
un panno umido sulla tua fronte
per farti riavere dal malo sogno
della morte per fame

Non ci sono segni sulla Montagna
pietre d’architetto, fondazioni di templi
resti da disseppellire
Non ci sono segni da riscoprire
rivedere i passaggi delle civiltà
i sassi della storia vera e seria
le ossa degli scontri cruciali
Ci furono legni incrociati e abbattuti dal vento
sassi che le acque in discesa spostarono
e persero le forme del pensiero sacrale
Ci furono foglie offerte verdi a seccare
fuochi spenti dopo la fiamma
e si sedettero uomini segnati in attesa
e si aggirò Dio a cercare

il suo Mosè americano


* Cfr. A. Leoni, A mani ferme. Prefazione di G. Oldani, puntoacapo, Novi Ligure (AL) 2012.

Dalla cittadella di Alessandria*

Io qua, tu nel teatro dei Greci
Io a cercare niente, tu a giocare con bilie antiche
Trovai sfere di ferro, bocce pesanti, minuscole gocce di piombo
Allestito che fu il museo, portatile, in scatola, esponevo qua e là
Io e altri a percuotere casse di risonanze secolari
Corse accaldate...
Io giocai a non finire alla guerra...
Ai bordi della città segreta sentivate profumi di notte
Occhi nel buio...
Non trovavo cunicoli che non mostrassero lingua di terra
Non padiglioni abbastanza spaventosi

Solo antri di minotauri settecenteschi senza tracce di stucchi ...

* Cfr. A. Leoni, Il bambino della cittadella, puntoacapo, Novi Ligure (AL) 2013 (con CD-ROM).

 

Le Grotte*

Ed è la calda estate
di luci e ombre chiare
che segnano di fiamma
i ricordi dei camini.

Ed è l’inverno lento
degli umidi vaganti
di chi respira quiete
con nella mente sole.

Confondono gli umori
le figlie dei solstizi
le due stagioni estreme
quando viene Natale.

E in una grotta accade
che il vento entri forte,
gli sguardi si smarriscono,
che cerchino tepore
di lana, di mantello
di paglia intrisa d’aria.

E che un corpo piccolo
riveli il gran mistero
del Padre delle stelle
disposto a respirare,

E che un corpo piccolo
riveli il gran mistero
del Padre delle stelle
disposto a camminare.
Le grotte dell’inverno
in smarrimenti e attese,
le grotte dell’estate
in ombre e fresche arie.

Le grotte dell’umano
di segni sulla roccia,
le grotte del divino

dei soffi dello Spirito.
*Cfr. Il Gruppo dell’Incanto, I Gatti (CD).

 

Il Monte*

(Medjugorje, 2012)


Balzi, aliti
stambecchi, aironi
invisibili al Monte
silenziosi
dopo danze sul violino
che per loro fece musica
Non notte, non risveglio
nella luce
ogni ora del buio
accanto a Lei
(visitati da animali
venuti solitari a intrattenersi
a scomparire ai primi arrivi
al mattino)

Non appartiene solo
ai ricolmi di necessità
il Monte
da Lei scelto
Non ai respiri affannosi
allo sguardo che scruta
la salita
Non solo agli angeli
non nati, silenziosi
Moltitudini che attendono
sfiorano i sassi
Abitano – attimi – gli anfratti
Ispirano le ascese
Avvolgono i corpi incerti

Vagano senza spazio

 

*Cfr. A. Leoni, Fra aria e pietra. Prefazione di B. Viscardi Balduzzi, puntoacapo, Pasturana (AL) 2018.

 

Parlale


Parlale, dille tu
nella nostra bella lingua
della Signora
che un dì fotografarono
nel suo abito scuro
il fazzoletto a stringerne il volto
sulla testa il sacco delle erbe
ondeggiante, gli zoccoli ai piedi.
Parlale dei pianti
da lei trattenuti per tutti i giorni
di sua vita, alleviati forse
solo nella terra dai sudori.
Dille che sei giunta al tempo
di respirare il calore
della sua voce e delle mani
unica forse impronta
rimasta in te di lei.
Dille il suo nome
semplice, di fiore
Insegnale a dare
come lei perdono.

 

 


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