Senecio
     SENECIO


Fondatore
Emilio Piccolo

Direttore
Andrea Piccolo con la collaborazione di Lorenzo Fort



Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze
Horkheimer-Adorno, Dialettica dell'illuminismo

Rivisitazioni, traduzioni, manipolazioni



Redazione
Sergio Audano, Gianni Caccia, Maria Grazia Caenaro
Claudio Cazzola, Lorenzo Fort, Letizia Lanza

Claudio Angelini
Scheda biobibliografica

1. L'amore non ha vie di mezzo  (Trad. da Saffo e Orazio)
2. Gerusalemme
3. Orfeo (e don Giovanni) all'Inferno (Trad. da Baudelaire e Rilke)
4. Luci ed ombre(Trad. da Archilico, Saffo, Alceo e Ibico)
5. Dal Libro delle immagini di R.M. Rilke
6. Il viaggio (da Baudelaire)
7. Donne che si credono belle
8. Inquietudini antiche e moderne


 
 
 
 
 

1. L'amore non ha via di mezzo

Simile agli dei (Saffo, fr. 31 V.)

Mi pare simile agli dei quell’uomo
che ti è d’accanto, e ascolta il dolce suono
della tua voce, quando parli e ridi 
graziosa e amante.

A me, nel petto ecco che il cuore s’agita
turbato, e appena ch’io ti veda un solo
istante, la voce mi s’interrompe
come impedita,

ma la lingua si spezza, e un improvviso
brivido ardente va sotto la pelle,
gli occhi non vedono più nulla, e un rombo
corre le orecchie,

grondo sudore, sono tutta un tremito
e impallidisco, verde più dell’erba,
mi sembra d’essere vicina a morte,
fuori di me.

Ma tutto è sopportabile, perché …
 

Aurea medietas (Orazio, Odi II, 10) 

Vivrai meglio, Licinio, sia evitando
l’alto mare, sia se non resti a lungo
sulla costa malfida, spaventato
dalla burrasca.

Chi ama l’aurea via di mezzo schiva,
tranquillo, o un tetto sordido e malfermo
o, modesto, una reggia sontuosa
che desti invidia.

Più spesso i venti scuotono il gran pino
e con fragore più tremendo cadono
le eccelse torri, e i fulmini s’abbattono
sugli alti monti.

L’animo preparato, nell’avversa
sorte spera, nella propizia teme
che tutto cambi. Giove aduna informi
nubi nel cielo

e le disperde. Se ora hai male, meglio
starai domani; Apollo con la cetra
desta la Musa tacita, né sempre
tende il suo arco.

Mostrati forte quando t’è contraria
la fortuna, e dà esempio di saggezza
tirando giù le vele quando troppo
prospero è il vento.
 

2. Gerusalemme

 

Gerusalemme, con le tue mura
di pietre grigie
coperte di muschio,
circondate dal deserto,
arido e brullo
come l’animo dell’uomo
in cui ancora non sia entrata
la parola di Dio,
Gerusalemme, eretta
dalla forza del pianto,
con le tue porte massicce,
le tue aurate moschee, le tue croci,
circondata dal deserto
che si fa luogo
dell’anima, assetata
di silenzio, voce di Dio,
che parla nel fruscio del vento
quando scava la sabbia dalla roccia,
nel bisbiglio del granulo, e del seme,
nello strisciare del serpente,
Gerusalemme, dove il rintocco
bronzeo nell’ore crepuscolari
s’alterna alla nenia del muezzin
come lamento di secoli…
Gerusalemme,
cui sovrastano le tombe
della valle di Giosafat
in cui i morti risorgeranno,
su cui pende in dolce declivio
l’ulivo del Getsemani
ove un tuo Figlio in solitudine
sudò sangue, e ridiede alle creature
la Grazia, e lo spirito eterno,
Gerusalemme del fecondo pianto…
Da te salgono le grida,
le speranze e le angosce,
il tormento dei miseri e i reietti,
dai tuoi vicoli bui, dagli angiporti
dove la storia è scritta
in lunghe righe di sangue,
dalle botteghe, i tuguri, in cui scorre
una folla diversa, brulicante,
di fratelli, tutti fratelli, che anche
nella ferocia della belva
agognano alla vita,
come diritto di chi nasce…
Ma come l’acqua che permea
la terra e ogni sua lordura
e ne trae gli alimenti più vivi
divenendo sorgente ricca e pura,
così sensi e passioni innerveranno 
l’eterea barriera levata
su te, città del dolore,
divenendo lassù nuova struttura,
torre, bastione, terrazza, vetrata,
e moltitudini in festa d’amore…
L’Uomo per cui nessun dolore è vano
ha rinnovato ormai tutte le cose,
ecco che sorgono per lui le mura
della novella Gerusalemme,
in cui tutto è incorrotto, e sempre dura.

 

3. Orfeo (e Don Giovanni) all’Inferno 
 

Don Giovanni agli Inferi(Baudelaire)

Allorché Don Giovanni scese all’onda d’abisso,
dato a Caronte l’obolo, un mendicante scuro
che aveva, come Antistene, lo sguardo fiero e fisso,
prese i remi con braccio vendicativo e duro.

Mostrando i seni penduli, e con le vesti aperte
sotto la volta buia, donne si contorcevano,
e come un vasto branco di vittime lì offerte,
dietro di lui lunghissimi ululati emettevano.

Sganarello ridendo gli chiedeva la paga,
don Luigi, col dito tremolante ed ossuto,
mostrava a tutti i morti, turba labile e vaga,
l’empio figlio, oltraggioso del suo capo canuto.

La casta Elvira, in lutto, tremante e smunta in viso,
presso il suo sposo perfido, il suo amante violento,
sembrava lo implorasse d’un estremo sorriso
che avesse la dolcezza del primo giuramento.

Un grande uomo di pietra, chiuso nell’armi, stava
immobile al timone, fendendo il nero flutto,
ma, curvo sulla spada, calmo, l’eroe guardava
il solco della barca, disdegnoso di tutto

Sonetto a Orfeon° 3 (Rilke)

Un dio lo può. Ma potrà mai adeguarsi 
su snella lira un uomo, dì, al suo esempio?
L’uomo è discorde. Apollo non ha un tempio
dove in cuore due vie vanno a incrociarsi.

Non è brama, quel canto che tu insegni,
non cosa ambita e finalmente presa. 
Canto è esistenza. Al dio facile impresa.
Ma quando siamo, noi? Nei suoi disegni

quando egli terra e stelle a noi prepara?
Non quando ardi d’amore, o giovinetto,
pur se t’urge la voce in bocca. Impara,

scorda ciò che cantasti. Fu un momento.
Il canto vero è un altro, soffio schietto,
che va in nulla. Soffio divino. Vento.

 

4. Luci ed ombre
 

La fronda di mirto (Archiloco, frr. 30, 31 W.)

Aveva in mano una fronda di mirto
e un bel fiore di rosa, e ci giocava …
e la sua chioma le faceva ombra
sugli omeri e le spalle.

Solitudine (Saffo, fr. 168B V.)

La luna è tramontata, con le Pleiadi,
la notte è al mezzo, il tempo passa, ed io
sono sola nel letto …

Beviamo! (Alceo, fr. 346 V.)

Beviamo, perché aspettare le lampade? Breve è il tempo.
Caro fanciullo, prendi le tazze grandi, dipinte
di vari colori, ché il figlio di Giove e Semele donò,
per confortarli dei mali, agli uomini il vino. Due parti
d’acqua, ed una di vino tu mesci, che su, fino all’orlo
trabocchi il calice, e l’uno insegua subito l’altro.

Le stelle (Ibico, fr. 314 P.)

… Ardente, come per la lunga notte
fulgidissime stelle.
 

5. Dal Libro delle immagini di R.M. Rilke
 
 

Annunciazione

Tu non sei più vicina a Dio di noi,
tutti siamo lontani.
Ma tu hai meravigliose
benedette le mani.
E non maturano a nessuna donna
così lucenti dall’orlo:
io sono il giorno, la rugiada,
tu invece sei la pianta.

Stanco son ora, lungo fu il cammino,
scusa, ho dimenticato
quello che Lui, nel trono suo di sole
tutto d’oro ingemmato,
a te, pensierosa, annunciava
(lo spazio mi ha stordito),
vedi, io sono il principio,
tu invece sei la pianta.

Ho disteso nel cielo le mie ali,
e sono grande, tanto;
ora trabocca la tua casa piccola
del mio diffuso manto.
Eppure qui tu sei sola
più che mai, non mi vedi abbastanza,
nel bosco io sono un lieve alito,
tu invece sei la pianta.

Ecco, gli angeli tutti sbigottiscono
presi dallo sconcerto:
no, non era mai stato il desiderio
così struggente e incerto.
Forse presto accadrà qualcosa
che tu nel tuo sogno intendi,
salute a te, vede il mio animo
che tu sei pronta e attendi.

Tu sei la grande e alta porta
dischiusa fra non molto,
tu sei la più cara che porga,
lo so, al canto mio ascolto,
la mia parola s’è nascosta
in te come nel bosco.

Così sono venuto a compiere
in te, la gioia sognata.
Dio mi guardò, era fulgido …
Tu invece sei la pianta.

6. Amore è illusione
(traduzioni dall’Antologia Palatina)
 

V, 94
A Mèlite (Rufino)

O Mèlite, hai gli occhi di Era,
le mani d’Atena, le poppe
d’Afrodite, e di Teti le caviglie.
Chi ti vede è felice,
e tre volte felice chi ti ascolta;
è un semidio chi ti bacia,
un immortale chi ti avrà sua sposa.
 

V, 230
Legato a un capello (Paolo Silenziario)

Strappatasi un capello dalla chioma
dorata, mi legò le palme Dòride,
come se fossi un prigioniero. E allora
pensai ridendo fosse una bazzecola
togliersi le catene dell’amabile
mia Dòride. Ma invece non trovai
più la forza d’infrangerle, e spossato
mi misi a piangere, come se in ceppi
di bronzo fossi stretto. Ora tre volte
misero, la mia vita ad un capello
resta sospesa, e ohimè, la mia padrona
mi trascina dovunque ella desideri.
 

V, 250
Tutti bugiardi gli uomini (Paolo Silenziario)

Dolce, o amici, è il sorriso di Laide,
dolce il pianto che scende dagli occhi
suoi commossi. Piangeva per nulla
ieri a lungo, col capo piegato
sul mio braccio. Baciandola, ancora
si doleva, ed uguale a una fonte
di rugiada, versava le lacrime
sulle bocche congiunte. Le chiesi:
“Perché piangi, cos’hai?” Mi rispose:
“Ho paura che possa lasciarmi:
siete tutti bugiardi, voi uomini!”



7. Donne che si credono belle
 
 
Troppo superba (Sesto Properzio, Elegie III, 24)
 
Donna, è illusoria questa gran fiducia
che hai nella tua bellezza, tu che un tempo
agli occhi miei troppo superba fosti.
Fu l’amor mio che sì gran pregi, o Cinzia,
t’attribuì, per cui famosa adesso
d’essere grazie ai versi miei t’incresce.
Spesso ho elogiato in te gli atti, le forme
più misti e vari, al punto che il mio amore
vedesse in te quel che non c’era. E spesso
ho confrontato il tuo colore a quello
roseo dell’alba, quando il volto candido
facevi ad arte; così la passione
che svellermi gli amici a me più cari
non poterono, né le maghe tessale
lavarmi via gettando su di me
tutta l’acqua del mare, io la nutrivo
non costretto dal ferro né dal fuoco
ma perché, naufrago nel mare Egeo,
credevo veri quei tuoi pregi. E preso
nella caldaia orribile di Venere
ribollivo, legato con le mani
dietro la schiena. Adesso finalmente
la mia nave, adornata di ghirlande,
è entrata in porto, ed ho buttato l’ancora
dopo che attraversai le Sirti. Stanco
del vasto gorgo infine ricomincio
a veder chiaro, e le ferite aperte
si vanno risanando. O mente mia,
che vedi giusto, se divina sei,
mi consacro al tuo tempio. Le preghiere
che, tante, a Giove avevo fatto, vane
erano state. Non vi porse ascolto.
 
 
Legato a un capello (Paolo Silenziario, Antologia Palatina V, 230)
 
Strappatasi un capello dalla chioma
dorata, mi legò le palme Dòride,
come se fossi un prigioniero. E allora
pensai ridendo fosse una bazzecola
togliersi le catene dell’amabile
mia Dòride. Ma invece non trovai
più la forza d’infrangerle, e spossato
mi misi a piangere, come se in ceppi
di bronzo fossi stretto. Ora tre volte
misero, la mia vita ad un capello
resta sospesa, e ohimé, la mia padrona
mi trascina dovunque ella desideri.
 
 
L’amore della menzogna (Baudelaire, da I fiori del male, “Quadri parigini”)
 
Quando ti vedo incedere, o mia cara indolente,
al canto dei violini che il soffitto riecheggia,
e sospendere il passo, con mosse blande e lente,
mentre il tuo sguardo, intenso e annoiato, passeggia;
 
quando contemplo, al fuoco del gas che lo colora,
il bianco viso, sparso d’incanto delicato,
su cui a sera le fiaccole accendono un’aurora,
e gli occhi tuoi che attraggono come un ritratto amato,
 
mi dico: Quant’è bella, bizzarramente fresca!
Il ricordo massiccio, regia torre imponente,
l’incorona, e il suo cuore, livido come pesca,
come il corpo, è maturo per l’amore sapiente.
 
Sei tu frutto d’autunno dai sapori sovrani?
O forse vaso funebre che attende tristi umori,
profumo che rapisce verso lidi lontani,
guanciale carezzevole, o gran cesto di fiori?
 
Lo so: ci sono occhi, malinconici e mesti,
che non celano sensi preziosi ed ignoti,
begli scrigni senz’oro, teche senza più resti,
che del Cielo medesimo son più profondi e vuoti!
 
Ma non è sufficiente che tu sia l’apparenza,
perché io, che fuggo il vero, in te trovi ristoro?
Che importa se in te allignano stoltezza o indifferenza?
Maschera o fregio, salve! Sei bella, ed io t’adoro.


8. Inquietudini antiche e moderne
 
 

ORAZIO (ep. I 11)

Che te n’è parso, Bullazio, di Chio
e di Lesbo famosa, e che di Samo
elegante, o di Sardi, la dimora
di Creso, che di Smirne o Colofone?
Son degne o indegne della loro fama?
Son tutte insieme roba da spregiare
rispetto al Campo Marzio, e al fiume Tevere?
O forse ti vien voglia di qualcuna
delle città di Attalo? O per caso,
disgustato dal mare o dalle strade
terrestri, lodi Lèbedo? Sai bene
cos’è Lèbedo; un borgo desolato
più di Gabi o Fidene. Eppure vivere
io vorrei proprio là, dimenticarmi
dei miei, desideroso ch’essi pure
non mi pensino più, guardare l’onde
lontane, mentre infuriano, da terra.
Ma chi da Capua a Roma se ne va,
sporco di fango e fradicio di pioggia,
non vuole certo il resto dei suoi giorni
passare dentro un’osteria, e nemmeno
chi ha preso tanto freddo fa l’elogio
di bagni e stufe, quasi che bastassero
a farti allegro e fortunato; e se Austro
t’ha sballottato forte in alto mare
non per questo, una volta uscito fuori
dall’Egeo, venderesti la tua nave.
Per chi è in buona salute, Mitilene
la bella, e Rodi hanno lo stesso effetto
d’un mantello al solstizio dell’estate,
o corte brache quando soffia un vento
nevoso, o far d’inverno il bagno in Tevere
o nel mese Sestile stare accanto
al caminetto. Fin quando è possibile
e benigno per noi mantenga il volto
la Fortuna, si lodi da lontano
Chio, Samo e Rodi, rimanendo a Roma.
Tu prendi con riconoscente mano
ogni momento che propizio il dio
t’abbia assegnato, non procrastinare
d’anno in anno le gioie, perché infine
tu possa dire che vivesti lieto
dovunque fu la tua dimora. E dunque
se saggezza e ragione hanno il potere
di placare l’affanno, e non il luogo
che ampio tratto di mare abbia in dominio,
mutano il cielo, e non il loro animo
quelli che corrono al di là del mare.
L’inerzia ci fa essere nervosi;
con navi e carri ci moviamo, in cerca
della felicità. Quello che cerchi
lo trovi qui, lo trovi a Ulubri, basta
che non ti manchi l’equilibrio d’animo.

 

Moesta et errabunda (Baudelaire, Les fleurs du mal)

Dimmi Agata, talvolta s’alza in volo il tuo cuore
lungi dal nero oceano dell’immonda città,
là, verso un altro oceano cosparso di splendore
blu, chiaro, intenso, uguale alla verginità?
Dimmi Agata, talvolta s’alza in volo il tuo cuore?

Il mare, il vasto mare placa i nostri tormenti!
Qual demone ti diede il rauco canto, o mare,
con cui segui, grande organo, il fremito dei venti,
e quell’arte sublime con cui ci sai cullare?
Il mare, il vasto mare, placa i nostri tormenti!

Portami via, vagone! Rapiscimi, veliero!
Lontano! Qui la melma è impastata di pianto!
 Quello che dice il cuore triste d’Agata, è vero?
Via, crimini e dolori, fuggiamo dal rimpianto,
portami via, vagone, rapiscimi, veliero!

Come mi sei lontano, paradiso fragrante!
Sotto il tuo chiaro cielo tutto è delizia e amore,
e tutto ciò che s’ama è degno d’un amante,
mentre di pura gioia si diletta ogni cuore!
Come mi sei lontano, paradiso fragrante!

Ma il verde paradiso dei nostri primi amori,
le corse, le canzoni, i baci ed i mazzetti,
e dai colli i violini vibranti di languori
con, a sera, le brocche di vino nei boschetti,
ma il verde paradiso dei nostri primi amori,

il casto paradiso delle gioie furtive,
è più lontano ormai dell’India e della Cina?
Né un grido né un lamento giova a farlo rivivere?
Non si ridesta al suono d’una voce argentina

Il casto paradiso delle gioie furtive?


 


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