Quintetto
                  
                  
                   
                  Quintetto
                  
                   
                  Achille
                  
                   
                  Bagnerai
le tue membra marmoree
                  nell’onda
azzurra dell’Ebro,
                  e
donne di luce canteranno
                  nell’attesa
dell’ora.
                  Ivi
immergerà timorosa il suo piede la dea,
                  a
non fermare il fluire lieve degli anni.
                  Ti
bacerà gli occhi, l’anima oscura,
                  varcando
il cammino che ivi s’addentra;
                  e
con labbra più dolci del miele
                  predirà la tua morte, il tuo
fato funesto.
                   
                   
                  Apollo
                   
                  Una
furia d’amore
                  gemmava
silvestre
                  nell’occhio
di ninfa
                  su
ali di luce
                  suscitava
silenzii
                  nel
profondo di selve
                  echeggianti
di grida
                  fra
radure assonnate
                  piovose
di luce
                  il
suo passo assolato
                  rinasceva
all’attesa
                  nel
fruscio delle foglie
                  fra
i sacri recessi del tempio
                  tra
le forme avvinte dall’edera
                  fra
i marmi accecati dal sole
                  si
guardava stupito
                  nell’onda
del tempo
                  la
chioma radiosa
                  con
un gesto fermava la luce
                   
                   
                  Di
fiori bianchi ti copriva il petto
                   
                  Nel
mare danaide
                  caro
alla porpora rossa
                  con
cui t’adornavi le vesti
                  e
i capelli odorosi d’ambrosia e di viole
                  bianche
rivedi le spiagge
                  d’azzurre
conchiglie che misteriose
                  ascoltavi
suonare dei mari fenici,
                  orfica
gloria un tempo dei Greci...
                  E
sogni della madre:
                  di
fiori bianchi ti copriva il petto rosa
                  e
nell’aria t’avvolgea le chiome...
                  Ora
non è: l’accoglie l’Ade tenebroso.
                   
                   
                  Leda
                   
                  Scorreva
sull’acqua turchina
                  luminosa
come mattini di primavera
                  l’acqua
fatata lustrava
                  fendevagli
il cuore
                  per
incanti di luci
                  biondeggiare
di mèssi
                  un
sogno veniva al fiore dell’onda
                  troppo
a lungo bramato
                  sull’Eurota
dall’acqua d’oliva
                  un
occhieggiare stupito di ninfe
                  dai
folti canneti
                  scenderà
il dio su di lei
                  col
carro del sole galoppava su un raggio
                  incendiava
l’azzurro
                  in
un volo di passeri d’oro
                  volava
sull’acqua
                  bianco
reclinava il collo all’isciacquio dell’onda
                  palpitava
il suo cuore d’incanti
                  fluttuarono
onde negli occhi di lei
                  cascate
d’azzurro scaturirono in cuore
                  torrenti
turchini schiumarono rapidi
                  fonti
chiarissime zampillarono fresche
                  Febo
biondissimo rise
                  Afrodite
                  nel
manto di luce
                  posava
in un lampo
                  avvolgendola
nella luce 
                  nel cuore... 
                   
                  Sonatina
                  
                  
                  Era un caldo
settembre di nostalgie e di furori, 
                  se tu,
sospesa nell’aria d’un impossibile autunno, 
                  atteggiavi
il tuo volto a una sapienza gentile, 
                  come ad
ammonirmi.
                  
                  Ed era
vano scordarci, assomigliare insieme 
                  primavere
ed autunni, nella pioggia dirotta 
                  che
lieve t’imperlava le guance, i capelli: 
                  con un
gesto evocavi il silenzio 
                  in
questa sera perduta di fulminei lamenti. 
                  Che dire
di te, di noi? Che la vita è sogno, 
                  e gli
anni ti franano addosso 
                  come
stelle impazzite? 
                  No, non
era questo il tuo senso, ma altro, 
                  se
t’allontani voltandoti appena, 
                  mentre
s’innalzano al vento d’autunno i capelli
ribelli, 
                  e la tua
mano gentile fa un cenno, a dire: 
                  «Seguimi
nell’eternità»…