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Tito Livio misterioso. Pianto di Madonna? Sempre esistito
di Gian Domenico Mazzocato

Scheda biobibliografica

Madonne che piangono, pezzi di pietra da cui spilla sangue, oggetti comuni di colpo circondati da un’aura di mistero.

Le lacrimazioni misteriose (e fenomeni analoghi o assimilabili) occupano, a periodi ciclici ma con straordinaria frequenza, spazi di tutti i giornali. 

Stupisce, in questo contesto, il coinvolgimento soltanto parziale (e spesso strumentale e superficiale) di dati che possono aiutare a capire, inquadrare, spiegare. O anche, più semplicemente, ad informare in modo corretto. 

Si preferisce puntare più sul magico, sul misterioso (che aiuta a vendere) che sullo studio scientifico del fenomeno.

Anche chi parla semplicemente di ciarlataneria e di imbroglio spesso non compie una operazione corretta. Liquidare in questo modo il fenomeno è davvero utile?

Sia chiaro: di ciarlataneria e imbroglio si tratta, talora anche con l’aiuto (in buona fede magari?) di qualche illustre prelato che funge da avallo, serve a garantire e ad attirare frotte di fedeli. Il che pone il problema nella sua vera dimensione: dove finisce la fede e dove inizia la superstizione?

In termini psicologici: quanto funziona il “voler vedere”, il “voler essere convinti”? Come viene sfruttato da imbroglioni a tutti i livelli questa voglia implicita in ognuno di voler essere convinti?

Ecco perché serve anche una analisi storicoculturale del fenomeno. Credo di poter portare un piccolo tassello di analisi.

In questa logica, nasce dai miei studi sul grande storico padovano Tito Livio un contributo da cui risulta inconfutabile l'esistenza delle lacrimazioni (perfino sanguinolente) anche in aree culturali non cristiane. 

Il grande storico latino ha raccontato le vicende di Roma dalle origini ai suoi tempi (che sono quelli del primo imperatore, Ottaviano Augusto): della sua opera a noi sono rimasti soltanto 35 libri, che molto spesso dedicano interi capitoli a eventi inspiegabili e misteriosi, quelli che egli chiama prodigia

(Serve tuttavia precisare che Tito Livio, spesso e volentieri prende distanza da alcune dicerie, con mentalità che potremmo definire positivista).

Le citazioni utili al nostro discorso sono, nell'arco dei 35 libri, ben 19.

Se ne ricava un quadro abbastanza univoco: nei momenti difficili, quando smarrimento davanti al futuro, paura, apprensione, angoscia aggrediscono la gente, ogni cosa si mette a grondare sangue. 

Illuminante (addirittura una chiave di lettura complessiva) la prima occorrenza (XXIII, 31): a Lanuvio (antichissima città laziale, sulla via Appia, a una trentina di chilometri da Roma) la statua di Giunone si mette a trasudare sangue. 

A Lanuvio Giunone viene adorata con l'appellativo di Sospita che vale liberatrice, salvatrice adombrando senza alcun dubbio la figura della Mater Dei cristiana. 

Siamo nel 216 a. C.: Annibale ha appena vinto a Canne la battaglia che gli spalanca la strada verso l'Urbe. In quella battaglia Roma ha riversato quasi ogni sua residua risorsa e ora si trova senza difese, in balia del vincitore. Il potere di Roma sembra giunto al suo tramonto e a Lanuvio la statua di Giunone piange sangue. 

Il contesto è da apocalisse: mare arsit eo anno, ad Sinuessam bos eculeum peperit. Tra mari che si mettono a ribollire e vacche che generano puledri, ecco che signa Lanuvi ad Iunonis Sospitae cruore manavere lapidibusque circa id templum pluit, ob quem imbrem novendiale, ut adsolet, sacrum fuit. Giunone piange sangue (alcune statue del tempio, addirittura), piovono pietre e i preti organizzano una novena. Già sentito, no?

In tempi recenti la pioggia di pietre è stata sostituita da blocchi di ghiaccio che piovono dal cielo.

Qualche mese dopo (sempre in piena crisi politica e militare) a Mantova si vede sangue imporporare le acque del Mincio mentre a Roma il sangue cade, dal cielo, nel foro Boario (XXIV, 10) mentre ad Amiterno (la città della Sabina che ha dato i natali a Sallustio) sono le acque dell'Aterno a diventare misteriosamente cruente (XXIV, 44).

La prima delle due occorrenze: Mantuae stagnum effusum Mincio amni cruentum visum.

Ma ancor più illuminante è il contesto. Faccio seguire il (curioso, ma anche pignolo) elenco dei prodigia, perché esso rappresenta il perfetto campionario di una sfilza di superstizioni mille volte già visitata e conosciuta.

1) A Lanuvio, presso il tempio di Giunone Sospita (sì, sempre lì) uno sciame di corvi fa il suo nido;

2) In Apulia brucia una palma verde;

3) A Cales piove creta;

4) A Roma, nel foro Boario, piove sangue;

5) Nel quartiere Insteio sgorga dal sottosuolo una sorgente di tale forza ed impeto che trascina via pietre e botti;

6) Fulmini colpiscono l’atrio del Campidoglio, il tempio di Vulcano nel Campo Marzio, una rocca, una pubblica via nella Sabina, un muro e una porta a Gabi;

7) A Preneste l’asta di Marte si muove senza che nessuno la tocchi; 

8) In Sicilia un bue parla;

9) Nel territorio dei Marrucini un bambino parla ancora nel grembo materno, usando una espressione gergale;

10) A Spoleto una donna diventa uomo;

11) Ad Adria appare nel cielo un altare attorno al quale si muovono fantasmi con fattezze umane e in vesti candide;

12) A Roma appare uno sciame d’api nel foro;

13) Sempre a Roma qualcuno dice di aver visto legioni armate sul Gianicolo (ma chi è del posto dice che ci sono i soliti, ben noti contadini intenti ai loro lavori).

Insomma di tutto, di più.

È fin troppo facile notare che alcune cose potrebbero apparire ad una mente tranquilla e non offuscata, fenomeni assolutamente normali e spiegabili o, magari, una coincidenza. Ma se si “vuol vedere”, se si vuol attribuire un significato soprannaturale a tutto…

La seconda occorrenza: flumen Amiterni cruentum fluisse.

Anche qui nel contesto appena esplorato di fulmini e baccano di armati. Con una variante: a Terracina, sul fiume (si tratta dell’Aterno che prende, verso la foce, il nome di Pescara), appaiono fantasmi di navi.

Annibale continua a vincere, in particolare nei dintorni di Taranto: Livio puntualmente riferisce che a Rieti è addirittura il sole a farsi di sangue (XXV, 7). E quando il condottiero cartaginese arriva a tre miglia da Roma e la fine della città è ormai imminente, da Suberte, una cittadina dell'Etruria, arriva -infausto presagio- la notizia che nel foro si sono visti scorrere ruscelli di sangue (XXVI, 23). Poi, non si sa bene perché, Annibale fa marcia indietro. Tuttavia non smette di raccogliere successi: a Capena, una cittadina etrusca ai piedi del Soratte, in un luogo consacrato a Feronia, la divinità che da quelle parti aveva un tempio (distrutto proprio in seguito alle vicende belliche), sono ben quattro le statue che grondano copiosamente sangue giorno e notte (XXVII, 4).

In questo contesto di ansia e di incertezza il sangue appare un po' ovunque: i torrenti che scaturiscono dal monte Albano, a Sud di Roma, si tingono di sangue (XXVII, 11) e anche a Volsinii (l'attuale Bolsena) il lago esibisce lo stesso fenomeno (XXVII, 23). A Minturno, una città tra Lazio e Campania sul fiume Liri, gli abitanti del posto riferiscono che un rigagnolo di sangue era stato visto scorrere sulla porta della città (XXVII, 37).

Quando poi la seconda guerra punica sembra inclinare dalla parte di Roma, un funestissimo presagio si abbatte sulla città: si spegne il sacro fuoco della dea Vesta. Puntualmente da Anzio arriva la notizia che i contadini, mentre stavano mietendo il grano, hanno visto spighe sanguinolente e, nella stessa Roma, nel circo Flaminio, l'altare di Nettuno esibisce una violentissima esudorazione (XXVIII, 11).

Annibale è sconfitto, alla fine. Ripara però presso il re Antioco dove cerca di organizzare una nuova guerra contro Roma: e a Roma, un po' in ogni luogo, nel foro, nel luogo dei comizi, perfino sul Campidoglio, appaiono gocce di sangue (XXXIV, 45).

Gli esempi sono comunque copiosissimi anche fuori delle vicende annibaliche. 

Straordinario (e tragico) il libro XXXIX in cui si racconta come nello stesso anno (183 a. C.) muoiano i tre grandi della storia recente: Annibale, Publio Cornelio Scipione Africano e Filopemene, il valoroso capo della lega Achea. È anche il periodo in cui Roma viene sconvolta dalla diffusione dei Baccanali, il sacrilego culto orgiastico che mina le basi non solo morali ed etiche, ma anche civili e politiche della res pubblica romana: per ben due volte (capitoli 46 e 56) a Roma si assiste proprio nei pressi del Campidoglio ad una piogga di sangue: in entrambi i casi la pioggia cruenta dura per due giorni.

Quando per Roma sorge una nuova minaccia (a partire dall'anno 182 a. C. circa: Demetrio, il figlio di Filippo V di Macedonia, che era di sentimenti filoromani viene ucciso dal fratello Perseo il quale diventerà acerrimo nemico di Roma) nell'Urbe piove ancora sangue e, sempre Lanuvio, la statua di Giunone Sospita si mette a piangere (XL, 19).

Riscontri molto interessanti anche da Saturnia, la cittadella che si trova a Nord di Vulci e che diventa colonia romana nel 183 a. C.: qui piove sangue per tre giorni (XLII, 20). A Cuma, sulla zona litoranea campana, la statua di Apollo, sita proprio nella rocca della città, piange per tre giorni e per tre notti (XLIII, 13). 

L'emblematica citazione di chiusura viene proprio dal libro XLV, che è l'ultimo tra quelli giunti ai moderni: vi si racconta (XLV, 16) che a Calatia, una cittadina sull'Appia tra Caserta e Maddaloni, un privato, tale Marco Valerio, riferiva che dal suo focolare era sgorgato sangue per tre giorni e due notti. Senza mai fermarsi.

17 giugno 2003 


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