1. Ulisseide (dall'Etruria al Montello)
2. Percorsi
antichi
3. 14 Febbraio
4. Il prodigio
5. IL VELIERO
6. Quattro poesie
1. Ulisseide
(dall’Etruria al Montello)
Ulisse
(per
il suo viaggio)
onda
di luce, marea del tempo
ulisse
cieco dorme nella sentina
e
tuttavia sogna
ha
vele e prue
chiglie
affilate nel cuore
corre
e naviga e conosce
sorride
alla polena
acqua
che si muove/che muove
mulino
dei secoli, mola della vita
macina
del dolore
sabbia
di clessidra, vita stretta nel pugno
orizzonte
vicino
chi
narrerà agli altri
la
vita che si apre oltre la soglia del risveglio
o
un palmo più in là, soltanto
chi
dirà il primo passo di ogni giorno
E
tuttavia sono
lampo
degli occhi
acqua
solare nel cerchio fondo del pozzo
attimo
della culminazione
meridiana
dell’anima
bussola
degli eventi
mormorio
lontano
chi
dirà la sete e l’attingere
E
tuttavia sono
Ruvido
Statua
di sale, nel volgere della vita
qui
scorre in largo fiume
nei
vortici di memoria, tra ripe scoscese
non
dovevo, forse, girare il capo
l’addio
era già dato e detto
immobile
tra le acacie mosse dal vento
ruga
di pietra
primavera,
un fossato, gli spini del tronco
stagione
sbiadita dal tramonto
il
profumo di fiori appassiti
resta
la foto
biancoenero,
ruvido antico al tatto
di
noi che sorridiamo
e non sapevamo degli
agguati
Percorsi antichi
Nota
Iter
qui,
dove la vita
curva
violenta
o sale la
marea
schiumosa
il
buio ha grumi più densi.
Luce
obliqua incide
le
rughe del passato
tuo
e mio, intersecato
aggrovigliato
Rileggendo
Saffo, la divina
(A
Gianni Giolo)
Se
navigare sia solo
o
anche
andare
lungo le vie
del mare
verso
Ilio
questo
vorrei
conoscere,
glucuprico
amico,
tra
i relitti
affioranti
nel
tiaso dei ricordi
quando
la memoria è
vela
e
fragile schiuma
errante e meta raggiunta
o
meta fuggevole. Che
è
sempre
la scia di noi,
l'esile
solco del
nostro transito
confuso
ad altre
tracce
Per
il viaggio di un’amica
onda
di luce, marea del tempo
ulisse
opaco che dorme nella sentina
e
tuttavia sogna
ha
vele e prue e chiglie affilate nel cuore
corre
e naviga e conosce
sorride
alla polena
acqua
che si muove/che muove
mulino
dei secoli, mola della vita
macina
del dolore
sabbia
di clessidra, vita stretta nel pugno
orizzonte
vicino
chi
narrerà agli altri
la
vita che si apre oltre
la soglia del risveglio
o
un palmo più in là,
soltanto
chi
dirà il primo passo di
ogni giorno
E
tuttavia sono
lampo
degli occhi
acqua
solare nel cerchio fondo del pozzo
attimo
della culminazione
meridiana
dell’anima
bussola
degli eventi
mormorio
lontano
chi
dirà la sete e
l’attingere
E
tuttavia sono
I
brani di Percorsi antichi sono tratti da G.D. Mazzocato, Dalla
selva delle esili memorie, DBS Edizioni, Feltre 2008. Nella sua
poesia,
scrive Giorgio Bárberi Squarotti, «è il senso di
una parola che viene fuori
superando barriere enormi di silenzio, come dal fondo dei
secoli». Tempo,
memorie domestiche, spazio, paure del quotidiano sono l’impasto di
questa
poesia “dura, aspra, irta come per una fatica del dire”. Mazzocato
raccoglie
nella sua selva popolata da esili memorie (fantasmi e corpi vivi ad un
tempo) i
versi scritti negli ultimi anni. Dopo Il fuoco vecchio e Straniarsi
è
qui (va ricordata anche la partecipazione assieme ad altri tre
poeti a Diapason
con variazioni) è questa la sua terza silloge. Poesia
impressionistica,
poesia della memoria. Lo scrittore, che in questi anni si è
dedicato
soprattutto a narrare la civiltà della sua terra fondando quella
che Fulvio
Tomizza ha chiamato “la saga dei vinti veneti”, continua a raccontare
qui, con
coerenza alle sue scelte culturali e valoriali, il perenne straniamento
del
poeta rispetto ad una quotidianità ostile e indecifrabile.
È la difficoltà a
individuare il correre di un segno provvidenziale, a riconoscersi un
ruolo
nella storia. È l’orrore per il male che la abita, è il
silenzio del divino.
Che può dire e dirsi il poeta? Che può fare? Nulla, se
non tracciare un
percorso di risalita alla memoria, ai valori da cui viene. Solo una
testimonianza, sofferta. Il critico Mario Cutuli ha scritto di questa
silloge:
«La poesia di Gian Domenico Mazzocato non parla. Evoca. Non
insegna.
Suggerisce. Non propone. Ricerca. Attinge da un mondo lontano. Arcano
eppur
reale. Remoto eppur vicino. Intimo. Profondo. Dove alloggiano nomi e
volti che
la polvere non ha mai coperto, che il tempo non ha mai cancellato. Che
ha
custodito. Geloso. Dove “umanità lacerata pesa sempre anche nel
ricordo”. Dove
“rotola da lontano questa sincroniadiacronia di diaspora nascosta e
quotidiana”. Dove vivono passioni sopite». La silloge ha
già raccolto alcuni
autorevoli consensi come quelli del poeta Loretto Rafanelli e del
paroliere
storico di Fabrizio De André, Massimo Bubola. L’autore ha ceduto
tutti i
diritti dell’opera all’ADVAR, la onlus che si occupa a Treviso dei
malati
terminali.
3. 14 Febbraio
Tienimi una mano sul cuore, amore.
Come vuoi tu. Aperta
che io possa vedere
l’eterna linea della vita.
O chiudi il pugno
a trattenere il tempo che ci è dato.
E regaliamoci la luce del sorriso,
se Ombretta mi cammina tra dita e tastiera.
Miagola e ci guarda
da misteriosi occhi e alieni.
Forse ha fame. È più facile però
che non le piaccia come traduco Fedro.
4. Il prodigio
La notte più luminosa di ogni altra,
una cometa forse, forse
l’esplosione di lontani universi
o arcana congiunzione astrale.
Gli uomini dell’imperatore
in corsa affannata per contare le genti
dell’immenso territorio di Roma.
E da deserti remoti
riga lunga di cammelli e beduini.
Seguivano i Maghi,
ricchi e devoti sacerdoti di Zaradhust.
Il prodigio, tuttavia,
fu una grotta
e Miriam, mamma bambina,
e Yosef, padre disperato.
Ogni porta, ogni cuore
avevano trovato chiusi.
5. IL VELIERO
(31 agosto 2023)
Riconosco il segno e il senso del tempo.
Le orme lucide – nitide sul marciapiede,
nel mezzo sole dell’alba, un labirinto –
delle lugubri processionarie.
Memoria e oggi, ogni tempo è presente.
Parlano i vissuti giorni,
le trascorse stagioni sono folla.
E ogni istante del giorno è rivelazione.
Poi il futuro
e la gioia luminosa del progetto.
L’attesa, anche.
È parola lucida di Agostino,
geniale greco d’Africa.
Davvero è così. Io sono leggero e libero,
il veliero che risale – con pudore,
con attenzione – uno sconosciuto fiume.
Esplora ancora, sempre
e si porta dietro il mare.
Quattro poesie*
STRADE / 7
(a Santorini, l’isola che esplose)*
Per le sue cento navi
chiese rotta alle stelle
Idomeneo il cretese, sangue di re.
Soffiava il vento d’Egeo sulle ampie vele,
generose e calde erano le onde.
Thera era la sua traccia verso Ilio,
l’isola del fuoco e degli inferi feroci
quando si aprì il ventre del mare.
Dopo il caos che rimescolò cielo
e terra e acque
fu molte isole, Thera, figlia del vulcano.
Nel tramonto azzurro e rosso
Idomeneo vide la corona di cime
abbracciare il mare.
Alzò le mani, frenò il ritmo ai vogatori
e chiese silenzio. Perfino il vento gli obbedì,
perfino il mare.
Era l’assoluto, era la bellezza.
Avvertì il fardello amaro della memoria.
Verso la Troade stava navigando
per riconquistare a Menelao
la donna che anche lui aveva amato,
Elena
dal bianco collo, il sole nei capelli.
Nel grande golfo, sulla prua della nave
comprese. Insensata
è la rotta verso la morte e il dolore.
Pianse il re cretese.
GNOMONE
Silenziosa compagna
(e saggia, credo)
solus sol mihi te fert,
lieve come il pensiero
assecondi il mio ritmo,
docile.
Ti amo, flebile,
anche nelle notti di luna.
ORA CHE SONO VECCHIO
(20 febbraio 2022)
Forte è il frastuono, parole incontro
ad ogni svolta.
Eresie e verità, dolore o gioia. Parole incontro nei viali alberati,
in vicoli e angiporti.
E nei deserti,
in villaggi perduti e in riva al mare.
Dove le onde, figlie della luna, parlano.
Ora che sono vecchio ho appreso
che una sola cosa posso chiedere loro.
Aiutatemi a formulare domande.
DOPO
Stenderemo le ali sul diluvio,
su ciò che resta.
Noi rami oscillanti. “Abbatti la tua casa, ti dico,
e costruisci una nave” implorò Gilgamesh,
lì sulle rive sonore d’Eufrate. Parlava al re sumero,
attorno aveva deserto.
Poi l’universo implose. Ma all’alba del settimo giorno
liberò la colomba.
Non trovò dove posare e tornò.
Liberò la rondine
e anche il suo volo fu vano.
Poi Gilgamesh liberò il corvo. Si rifocillò, finalmente,
e non fece ritorno. Dai nostri corpi
sporgeranno le schegge dell’anima.
La parte viva di noi. E bella e vera
* Dal poemetto inedito Strade.